Galateo Truce

Soffro come un mare arginato da paludi, come l’acqua racchiusa in tutta la potenza di un temporale.
Parole espresse nei sotterranei, alghe marine rimaste tra i denti di un crotalo morto.
La luce racchiusa nei denti marci di un fumatore d’oppio, l’altalena spezzata di quell’orfano.
Mi voglio togliere gli occhi dalle orbite e pulirli con petali di rosa,
profumarli.
Mi manca l’amore e l’affetto di quella donna, mi manca tutto.
Taglierei alla base l’Himalaya o chi per lei se potesse rendermela, farei appassire tutte le creature viventi, e invertirei l’ordine del cielo e della terra, della vita e della morte, dell’asciutto e del bagnato.
Darei acqua tutti i giorni a quelle piante grosse e la toglierei a quei ciclamini se servisse.
Toglierei il bastone a quel vecchio cieco e l’amore a, no, l’amore non lo toglierei a nessuno che ce l’abbia, come la poesia, non la toglierei a nessuno, nemmeno a quella vecchia decrepita tarantola.
Per il resto farei a meno della mia vita se servisse.
Castrerei il gallo che il mattino canta la sveglia e mozzerei le dita delle scimmie bonobo.
Arriverei fino a munire di seghe gli abitanti della giungla e poi gliene insegnerei l’utilizzo funesto.
Già sto pregando, sbaglio intento, non mi riesce.
Voglio abbandonare tutti i porti, farli abbandonare. Creare confini insormontabili.
Rendere schiavi tutti l’uno dell’altro finchè il più nobile non diventi il più cannibale. Lodare chi sbaglia e rendere merito a chi è meno umano a chi non scava ma infanga e basta.
Uccidere tutte le bestie o lasciarle ferite, violentare i bambini del vicino di casa, deturpare la propria immagine fino a renderla il forcone dell’abisso e succhiare dal seno della vergine la sua linfa e la sua morbidezza.
Poi strangolarla.